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APPROFONDIMENTI - Chiudere i piccoli ospedali. Perché?

di Plinio Pinna Pintor - 23.01.2013 13:01



Come Medico Manager, da più di 60 anni ho acquisito una lunga esperienza gestionale di quello che oggi si definirebbe un “piccolo ospedale” in Italia con meno di 120 letti, negli USA meno di 100.

Dopo un prolungato dibattito della scorsa estate nelle notizie in parte contraddittorie di agenzie di stampa e quotidiani e interviste a ministri e parlamentari, la minacciata chiusura di piccoli ospedali non è stata attuata. La chiusura dei piccoli ospedali con meno di 120 letti peraltro era prevista da più di 20 anni dal Dm del ministro Donat Cattin del 1988 sugli standard ospedalieri (a), ma in realtà, come è dimostrato dai fatti, il decreto di attuazione che prevedeva anche la fissazione degli standard sul personale, non è mai stato rispettato almeno per quanto riguarda la soppressione dei presidi con meno di 120 letti, come è ovvio.

Come è noto, facendo piazza pulita delle indiscrezioni giornalistiche dei primi di luglio, il Ministro della Salute, in un’intervista a “La Repubblica” dei primi di luglio scorso, ha affermato che non sarebbe stato effettuato nessun taglio obbligatorio dei piccoli ospedali per iniziativa ministeriale, ribaltando alle Regioni l’obbligo di razionalizzare la rete ospedaliera e verificare la funzionalità delle piccole (quante?) strutture entro il 30 nov. u.s..

L’iniziativa delle regioni non si è fatta attendere, anzi era stata anticipata nella Regione Piemonte, ad es. nel suo sito “Io scelgo la salute” (1), ha usato, tuttavia, come criteri per la razionalizzazione degli ospedali, non tanto il numero dei posti letto, ma il volume delle singole attività specialistiche. La proposta regolatoria è stata motivata non solo da esigenze di risparmio ma dalla necessità di garantire sicurezza e qualità delle cure.

Anche a livello nazionale, la normativa è evoluta con la “bozza” del decreto ministeriale (2) di regolamento recante la definizione degli standard qualitativi strutturali tecnologici o quantitativi relativi alla assistenza ospedaliera del nov. u.s.. Si privilegia, ai fini della razionalizzazione degli ospedali, non tanto il ridimensionamento e il numero dei posti letto, ma il volume di attività che vi si svolge.

Al capitolo 4.6 vengono identificati, infatti, cito testualmente: “sia per volumi che per esiti, le soglie minime, identificabili a livello nazionale sulla base di evidenze scientifiche, possono consentire di definire criteri non discrezionali per la riconversione della rete ospedaliera ed eventuali valutazioni per l’accreditamento”.

Tenuto conto anche degli aspetti correlati all’efficienza nell’utilizzo delle strutture (cioè del rapporto economico costo/beneficio) vengono definite le soglie minime di volume di attività”.

Le evidenze scientifiche di cui si parla nella bozza, in realtà sono tutt’altro che univoche.

La letteratura scientifica, molto contraddittoria per altro sulla validità del volume dell’attività chirurgica come indicatore di qualità e sicurezza delle cure da utilizzare come requisito per l’accreditamento e per i contratti assicurativi con gli ospedali, è numerosissima.

Nel primo importante studio del 1979 (3), capostipite di una lunga serie, uno dei massimi esperti di politica sanitaria degli USA, Harold Luft dell’Università di Stanford, documenta, su un vasto campione di 1500 ospedali degli USA, 12 interventi chirurgici di diversa complessità, dalla cardiochirurgia alla colecistectomia effettuati su 420.000 pazienti, una significativa differenza di mortalità e morbilità tra gli ospedali al di sotto (ad es. meno di 5 interventi) e quelli al di sopra di un certo numero di interventi (solo per la chirurgia complessa).

In base a questi risultati, l’Autore propone la “regionalizzazione”, cioè la concentrazione in grandi centri degli interventi più complessi come la cardiochirurgia, l’aneurismectomia e la protesi d’anca.

Nelle conclusioni, gli Autori riconoscono che la differenza di Qualità in funzione del numero di interventi considerati come variabile continua, potrebbe in parte dipendere dall’imperfezione del sistema statistico usato per la stratificazione del rischio del paziente nella ricerca e gli Autori pertanto, propongono, ai fini di decisioni di politica sanitaria e a conferma dei risultati della loro ricerca, di introdurre sistemi regionali di raccolta dati, anche sugli esiti della chirurgia e non solo in termini di mortalità, ma anche di complicanze e non solo a livello degli ospedali ma a livello dei singoli chirurghi ed anestesisti.

Le stesse critiche all’utilizzo del numero come indicatori singoli di qualità della chirurgia con ulteriori precisazioni, verranno sviluppati in tutta la letteratura pro e contro nei decenni successivi.

La prima rassegna sulle implicazioni di politica sanitaria nell’adozione del volume di attività degli ospedali e dei professionisti come indicatori di qualità delle cure dopo poco meno di 20 anni è degli stessi Autori (Phillips e Luft) (4). Gli Autori propongono 3 raccomandazioni per utilizzare il volume di attività per il miglioramento delle cure. In assenza di altre misure di qualità, il basso volume può servire come indicatore di possibili problemi di qualità ma non può essere utilizzato come indicatore generalizzato di una qualità scadente e tanto meno per i contratti selettivi, in quanto il meccanismo che associa il volume ed i risultati non è affatto chiaro.

Secondariamente, l’utilizzo rigoroso di soglie minime e la centralizzazione dei servizi che derivano dalla percezione di problemi nelle strutture a basso volume, può produrre conseguenze indesiderabili, ad esempio incentivi negativi e distorsione nel mercato sanitario (b) e la centralizzazione può essere selettiva verso servizi più redditizi. La concentrazione della procedura in pochi ospedali, comporta problemi logistici per i trasferimenti per lunghe distanze come il rischio di complicanze (c).

Gli ospedali selezionati per l’alto volume devono avere un’occupazione tale da consentire l’accettazione di nuovi pazienti. Infine non è al momento noto se fornire le informazioni sul volume e altre misure di qualità, né quale tipo di informazione sia più utile.

Gran parte delle considerazioni degli Autori sono funzionali al sistema sanitario degli USA e per tanto non esportabili.

Il problema della validità del volume come indicatore nelle sue diverse specificazioni e aggregazioni (ospedali, professionisti, tipi di interventi e di specialità) è, tuttavia, controverso come risulta dall’esame della letteratura a partire dalla fine degli anni 90 sino ai giorni nostri. Sei anni dopo lo studio della VA (5) sulla individuazione dei modelli di stratificazione del rischio in interventi di chirurgia complessa, S. Khuri, contesta l’uso del volume come indicatore dimostrandone l’assenza di correlazione con la mortalità se le popolazioni a confronto vengono stratificate con l’uso di variabili cliniche e non amministrative (6).

In una nostra rassegna non sistematica del 2008 (7) sono messi in evidenza i risultati delle ricerche in cui gli esiti in rapporto al volume di interventi chirurgici vengono riferiti separatamente ai chirurghi ed ai centri in cui operano.

In questi studi si dimostra che, ai fini di buoni esiti (ridotta mortalità, complicanze, rientro in ospedale) conta non tanto il volume di attività dei centri ma quello totale svolto annualmente dall’Equipe chirurgica.

Ciò sta a dimostrare che se in un piccolo centro opera un numero di casi al di sotto degli standard, ma annualmente molti più casi in un grande centro, i suoi risultati possono essere uniformemente eccellenti.

L’esperienza personale e credo anche dei manager di altre strutture in cui operano chirurghi con ampia casistica personale svolta in ospedale e numeri molto più bassi nelle strutture private dove svolge attività intramoenia con gli stessi eccellenti risultati, sono una conferma delle ricerche a cui ho fatto cenno, facilmente documentabili.

La nostra casistica, anche se aneddotica, circoscritta come dimensione e come tipologia di ambiente, potrebbe essere utilizzata dagli organi regionali come un esperimento gestionale e come studio osservazionale.

Il criterio di conservare piccoli centri periferici in aree disagiate ed affidare a chirurghi itineranti lo svolgimento di attività chirurgiche più complesse, già considerato nell’ambito delle singole strutture ospedaliere ai fini di risparmio, potrebbe essere rivalutato nel programma di ristrutturazione ospedaliera oggi in corso.

(a) Il Decreto di attuazione del 19/04/1988 della legge 8/4/1988 sugli Standard Ospedalieri recita: la complessa manovra di riequilibrio dei posti letto del territorio nazionale che comprende la soppressione dei presidi con meno di 120 posti letto e che vede interessati 257 istituti per un totale di 18.443 posti letto da disattivare o riaccorpare, dovrà garantire nell'ambito di ogni Regione l'attuazione dell'indice medio di 6,5 posti letto tra pubblici e privati (questi ultimi calcolati al 50%) per 1.000 abitanti.

(1) http://www.scelgolasalute.it/cms/sportello.html

(2) Ministero della Salute. Bozza Decreto di novembre 2012

(3) Luft H.S., Bunker J.P., Enthoven A.C Should Operations Be Regionalized? — The Empirical Relation between Surgical Volume and Mortality N Engl J Med 1979; 301:1364-1369

(4) K. A. Phillips, H. S. Luft, The policy implications of using hospital and ohysician volumes as “indicators” of quality of care in a changing health care environment Int Journal of Quality in Health Care 1997; vol 9 no 5:341-348

(b) È noto che negli USA il Sistema Sanitario è basato prevalentemente su fondi aziendali e assicurazioni private e sulla forte competizione commerciale

(c) Considerazione valida per Nazioni come USA e Canada, caratterizzate da lunghe distanze fra i centri rurali e le grandi città

(5) S. F.Khuri, J. Daley et al Relation of Surgical Volume to Outcome in Eight Common Operations. Results From the VA National Surgical Quality Improvement Program. Ann Surg 230:414-432

(6) Khuri SF, Henderson W. G. The case against volume as a measure of quality of surgical care World J Surg 2005;29:1222–9

(7) Pinna Pintor P, Bobbio M, Costamagna D. La qualità della chirurgia dipende dalla numerosità degli interventi eseguiti nell’ospedale o dal singolo chirurgo? Clin Gov 2008; 4: 11-18.