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APPROFONDIMENTI – Intervento del dr. Giovanni Bissoni, Presidente Agenas, alla presentazione del Rapporto Ospedali & Salute 2012 (*)

 - 07.02.2013 10:18




Ringrazio dell’invito. D’altra parte l’Agenzia Sanitaria Nazionale non è l’agenzia degli erogatori pubblici ma quella che segue l’intero Servizio sanitario nazionale. Il SSN – come è stato ampiamente illustrato nel 10° Rapporto Ospedali & Salute – è ormai un servizio fortemente integrato. Questo è il mio parere da tanto tempo, da quando facevo un altro mestiere, quello dell’assessore regionale alla sanità. Tutte le volte dovevo spiegare che in realtà anche in Emilia Romagna il sistema era integrato, che la presenza del privato ospedaliero accreditato era sostanzialmente in media con i dati nazionali e non si litigava perché probabilmente avevamo trovato una convivenza per dar corpo a questa integrazione.

La situazione in sanità è molto calda. Sia in iniziative pubbliche che private – ma prevalentemente pubbliche – la preoccupazione è molto forte, così come è molto forte la preoccupazione dei cittadini. Trovo positivo quello che è successo a fronte delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio [sulla insostenibilità finanziaria del SSN, n.d.c.], cioè l’esigenza di chiarire quale può essere l’evoluzione di questo servizio sanitario pubblico. Ho trovato positivo che nella grave crisi che stiamo attraversando si continui a considerare il SSN come un grande patrimonio di questo paese.

Cercherò di dare una mia lettura su quello che è successo, delle possibili azioni per cercare di superare questa situazione difficile.

Fino a ieri noi eravamo dentro ad un sistema così fatto: c’è un Fondo sanitario nazionale che, come richiamava il Presidente Pelissero, sia che lo confrontiamo con L’Europa, sia che lo confrontiamo più ampiamente con tutti i paese dell’OCSE, si colloca non ai posti alti. Se prendiamo i paesi OCSE si colloca abbondantemente al di sotto della metà, siamo ormai al 16°-17° posto sui 22 paesi dell’OCSE. Su questa strada si era costruita una linea d’intervento che ricorderete: Fondo sanitario nazionale, regioni che ci stanno dentro e chi non ci sta dentro paga il di più con tasse e ticket aggiuntivi. E questa è un’acquisizione che probabilmente in questa manovra [spending review, n.d.c.] si è un po’ persa, nel senso che in questa manovra molto spesso si usano dati di spesa non del SSN, ma di una parte del paese, e si sottende che in realtà quella parte di spesa eccedente non sta dentro il Fondo sanitario nazionale, sta fuori e se la pagano quelle realtà che sforano. Dico questo perché evidentemente le manovre sono costruite a partire dal Fondo sanitario nazionale, cioè la ricerca delle inefficienze non è fatta a partire dalla spesa del Lazio, la ricerca delle inefficienze è fatta a partire dalla regione Veneto, dalla regione Lombardia, Emilia Romagna, o Toscana. Ma siamo certi che il sistema complessivamente abbia i margini per quel recupero di efficienza che era stato dato? Questo è indubbiamente la polemica che poi si traduce in tagli lineari. D’altra parte, se il problema dello Stato è quello di ridurre il suo di impegno diretto nella spesa pubblica, è evidente che diventa inevitabilmente un taglio lineare. Trovo che da questo punto di vista ci sia stata troppa enfasi nella descrizione di un SSN straordinario e dall’altro lato, però, si dichiara che esistono possibilità di efficientamento di un sistema pari, nel periodo 2011/2015, a 30 miliardi. E’ evidente che è stata enfatizzata la ricerca di un efficientamento per dare un contributo più generale alla manovra di spesa pubblica che il paese ha fatto. D’altra parte sulla sanità è un po’ più facile per qualunque governo rispetto ad altre spese. Perché è più facile? E’ più facile perché se si fa una manovra analoga sul mondo della scuola, la mattina successiva è immediatamente percepita da parte dei cittadini. Se io faccio una manovra sulla sanità, i provvedimenti vanno attuati, ci sono di mezzo le regioni, la dichiarazione è: non sono in discussione i livelli di assistenza ma solo l’efficientamento. I risvolti di quella manovra sono diluiti nel tempo, ma non immediatamente percepiti dal cittadino e le manovre sulla sanità, dal punto di vista dell’ente centrale, lo Stato, diventano evidentemente manovre più abbordabili che in altri settori.

Da qui la manovra di spending review come il SSN non ha mai affrontato nei suoi ultimi periodi. Una volta si diceva: “Se si interviene lo si fa solo sulla farmaceutica e abbiamo chiuso la partita”. Questa volta ce n’è per tutti. Grosso modo la manovra è articolata in un 30% sul personale (blocco dei turn-over, blocco dei contratti); il 30% circa nell’ambito dei beni e servizi; il 30% nell’ambito della farmaceutica e un 10% circa nelle entrate delle compartecipazioni.

Io sono fra coloro che difficilmente ritengono che queste manovre possono portare a quegli impatti finanziari, se vogliamo mantenere fermo il diritto dei cittadini ad avere riconosciuti i loro livelli essenziali di assistenza.

Sulle manovre più specificatamente, trovo che quella relativa alla farmaceutica sia probabilmente la più gestibile delle tre manovre che noi abbiamo in corso. Sui beni e servizi, fatta appunto la premessa che richiamava il prof. Pelissero, e che cioè i margini sono molto diversi, temo però che noi abbiamo fatto un errore di impostazione generale. Qual è questo errore? Ho sempre detto e condiviso che quello della sanità non è un mercato, nel senso che quello delle prestazioni sanitarie non può funzionare con regole di mercato classiche. Ritengo però che dentro il SSN ci sia un’area significativa che deve usare le regole del mercato. L’acquisizione dei beni e dei servizi non sanitari deve usare le regole di mercato. Da questo punto di vista c’è un’arretratezza forte del sistema pubblico nell’organizzare la domanda di questi beni e servizi. Penso che piuttosto che andare immediatamente alla ricerca di un prezzo di riferimento, che in un sistema che non ha usato le regole di mercato diventa molto difficile individuare, penso che debba essere data un’attenzione molto più forte nel costruire un sistema di mercato vero. Il pubblico deve strutturarsi secondo una logica di mercato. Da questo punto di vista i margini sono molto diversi, perché ci sono molte regioni che hanno esattamente strutturato la loro capacità di beni e servizi secondo questa logica di mercato: hanno aggregato la domanda, hanno definito quali sono i capitolati d’appalto, hanno cominciato ad uscire dalla situazione in cui anche un bene così delicato come una protesi, non può essere né la protesi che costa di meno ma neanche quella che il singolo professionista soggettivamente ritiene che sia la più adatta per il SSN.

L’altro aspetto è quello relativo alla riorganizzazione ospedaliera. Sulla riorganizzazione ospedaliera ci sono alcuni elementi di forte novità. Ritengo che 3,7 posti letto per mille abitanti sia una dotazione di posti letto gestibile da questo SSN. Gestibile ma non facile perché 3,7 posti letto diverrebbe una delle dotazioni più rigorose d’Europa. Però se vogliamo che questi 3,7 posti letto non si traducano in un ulteriore allungamento delle liste di attesa – i ricoveri programmati, per esempio – o che lascino alcuni pazienti senza la possibilità di un posto letto, noi abbiamo bisogno di sviluppare quei servizi territoriali che oggi, molto spesso, in molte realtà del paese non ci sono. Non è che si ricorre all’ospedale perché mi piace l’ospedale, si ricorre all’ospedale perché spesso sul territorio non c’è la capacità di presa in carico di un paziente cronico e magari quel paziente, magari per una complicanza, ha bisogno di un ricovero in ospedale. Possiamo evitare l’ospedale nel momento un cui, evidentemente, c’è un servizio alternativo.

Torna con grande enfasi il tema della programmazione sanitaria. Per tanto tempo abbiamo pensato che la competizione nel virtuale mercato dei servizi sanitari avrebbe definito automaticamente la programmazione degli ospedali. Non è così, la programmazione ospedaliera non è solo un problema di numero di posti letto ma è un tema di che cosa succede dentro quei posti letto. Da questo punto di vista io penso che si apra un altro spazio nella programmazione dei servizi a gestione pubblica e privata perché se di reti si tratta, non possono che essere integrate, perché non possiamo pensare di costruire due reti sulla base della ragione sociale di chi le gestisce e quindi abbiamo un terreno molto forte di integrazione nell’ambito della programmazione sanitaria.

Cosa diversa è il tema della compartecipazione del cittadino, dove probabilmente abbiamo bisogno di fare un po’ di chiarezza. La compartecipazione del cittadino, sia dentro che fuori dal sistema è già molto alta. Siamo uno dei sistemi universalistici a più alta spesa privata d’Europa. Il primo problema è di dare un po’ di ordine a questo meccanismo perché una cosa è parlare di mutualità integrativa, una cosa è parlare di mutualità sostitutiva che sarebbe evidentemente la rottura di quei principi che questa mattina così bene sono stati evidenziati come bene comune appartenente a tutti i soggetti del SSN.

Io penso che domani non potrebbe esistere un’Europa con una situazione simile a quello sta succedendo alla Grecia. Ma pensiamo alle tensioni sociali che stanno nascendo anche dentro il nostro paese; fra l’altro voglio dire che se c’è un momento in cui qualcuno può pensare che si può costruire la seconda o terza gamba del SSN, quel momento è tutto tranne che un momento di crisi some questa: dove tiriamo l’asticella per decidere chi sta fuori del sistema? Tutto ciò avviene in una situazione in cui il ceto medio ormai è piombato in una forte crisi, una situazione in cui sarebbe drammatico pensare di affrontare in maniera privata il finanziamento di un servizio come il SSN. D’altra parte i sistemi misti lo dimostrano. Allora, una parte delle decisioni spetta al nostro paese, un’altra spetta in sede europea e io sono fra coloro che ritengono che il rigore abbia bisogno di avere una marcia in più di equità e di sviluppo perché altrimenti entriamo in quella spirale negativa da cui non usciamo.

Chiudo davvero. A me sembra importante che ci sia questa disponibilità a partecipare alla fase delicata che abbiamo davanti tenendo fermi alcuni principi e fra questi c’è quello di considerare, come ho sentito questa mattina, bene comune il servizio pubblico. Poi, se ciascuno saprà fare la sua parte, sarà giusto chiedere alla politica che si assuma le sue responsabilità. Sarebbe davvero difficile arrivare a quell’appuntamento senza avere introdotto davvero le innovazioni che sono possibili e penso che in questa situazione di crisi noi ce la dobbiamo mettere tutta perché quelle innovazioni, quando non mettono in discussione i livelli essenziali di assistenza, ma ricercano maggiore efficienza siano un atto dovuto, forse un’opportunità, di fronte alla crisi che stiamo attraversando.

(*) L’intervento è stato fatto lo scorso 3 dicembre 2012. Il testo è uno stralcio dell’intervento, non rivisto dall’autore.