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APPROFONDIMENTI GIUSLAVORISTICI – Segnalazioni

Avv. Sonia Gallozzi - 18.04.2013 09:55


SONIA GALLOZZI



Si segnalano le seguenti pronunce:

Cass. Civ. Sez. Lav. nn. 18916 del 05 novembre 2012 e 1569 del 23 gennaio 2013: la Suprema Corte torna a specificare che l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva.

Ordinanze del 05 e 09 marzo 2013 Tribunale di Milano – Sez. Lavoro: Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano, con la prima delle citate ordinanze, afferma che, come già indicato nella circolare ministeriale 3/2013, il licenziamento per superamento del periodo di comporto non rientra tra le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per le quali l'articolo 1, comma 40, della legge 92/2012 ha reso obbligatorio, nelle imprese con più di 15 dipendenti, il tentativo di conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro, ritenendo le due ipotesi ontologicamente diverse.

Nella seconda ordinanza specifica che, nella motivazione del licenziamento per "superamento del periodo di comporto" può essere sufficiente evidenziare il numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo senza l'indicazione specifica di tutte le giornate di malattia (in ogni caso non è ammissibile una comunicazione eccessivamente stringata), fermo restando l’onere del datore di lavoro di allegare e provare compiutamente i fatti costitutivi del potere esercitato. In ipotesi di accertata genericità della contestazione in sede giudiziale, il rapporto di lavoro viene comunque dichiarato risolto ed il datore è condannato al pagamento di una indennità risarcitoria tra le sei e le dodici mensilità, salvo ovviamente che il Giudice, nel merito, verifichi che non vi sia stato superamento del periodo di comporto.

Ad ogni buon conto, a scopo cautelativo, sarebbe sempre preferibile indicare puntualmente i giorni di assenza per malattia.